2008

Smemoraz

Credits

Smemoraz

di Paolo Jedlowski

regia: Raffaele Braia
con: Raffaele Braia
video: Alessandro Loglisci
produzione:
SKèné Produzioni Teatrali

Locandina Smemoraz

Con una legge del 20 luglio 2000 la Repubblica Italiana ha stabilito che il 27 gennaio sia Giorno della memoria.

Il 27 gennaio è la data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz.

“Giorno della memoria”: ma che cos’è la memoria ? Una parola sola per dire tante cose, diverse fra loro. Uno psicologo, ad esempio, potrebbe parlarci di memoria “a breve termine” e “a lungo termine”, e spiegarci che sono funzioni situate in parti diverse del nostro cervello. Un etologo potrebbe parlarci della memoria dei geni; un antropologo della memoria dei corpi, quella che chiamiamo “abitudine”.

Un ingegnere potrebbe istruirci sulla memoria del suo calcolatore, un poeta farci cogliere gli echi delle memorie involontarie, uno storico ci mostrerebbe che la memoria si deposita in certi luoghi o si “esteriorizza” grazie a certi strumenti, come la scrittura, o i monumenti. Di memorie non ce n’è una soltanto.

La memoria è un insieme di facoltà, di funzioni, di strumenti.

Naturalmente, fra tutti questi significati della stessa parola vi è un’aria di famiglia: in tutti i casi, si allude alla possibilità che il passato si prolunghi entro il presente, o che il presente protenda all’indietro una delle sue braccia a rendere attuale, significativo o operante il passato. Una possibilità che comunque non va esente da selezioni: l’oblio è l’altra faccia della memoria. Necessari entrambi alla vita, perché senza memoria il presente diventerebbe così leggero da volare via nell’incoscienza, ma, senza oblio, sprofonderebbe sotto un peso impossibile a sostenersi.

Ci sono comunque molti tipi di ricordi.

Fra questi, ricordi che è bello e facile riportare alla mente; altri che è duro, o difficile, o scomodo farlo. Il ricordo dei campi di concentramento che costellarono i paesi europei durante l’ultimo conflitto mondiale, il ricordo di Auschwitz, della Shoah e di altre catastrofi, fa parte dell’ultimo tipo: memorie di eventi traumatici, legate a conflitti che non sono ancora sopiti. Conservare socialmente questi ricordi, tramandarli, farli transitare da una generazione all’altra, è difficile.

Indubbiamente anche i gruppi, anche le società ricordano, ma, come gli individui, ricordano selettivamente. E, quanto a questo tipo di ricordi, non è possibile contare sul desiderio spontaneo di tutti di conservarli. Sono ricordi duri: anche a chi abbia poco o nulla nel proprio personale passato che faccia eco a esperienze come quelle di un rastrellamento, di un lager, di un treno piombato, pensarci e pensare che qualcuno ha vissuto tutto questo crea angoscia. Personalmente, non riesco mai a leggere e tanto a meno a scrivere di cose del genere senza ritrovarle nei sogni, la notte successiva. E non posso dire di amarlo.

Eppure, è necessario conservare, o addirittura suscitare, questi ricordi anche in chi non li possiede per esperienza diretta: la costituzione di una “tradizione negativa”, una tradizione che riguardi il sapere di ciò che non vogliamo, per quanto scomoda, è necessaria per proteggere il nostro futuro.

A questo riguardo, non si può contare sull’efficacia pedagogica del moralismo. Ciò che ha a che fare con l’etica, non si lascia insegnare con il dito alzato: diventa stucchevole, suscita reazioni di fastidio, e si rovescia fatalmente nel suo contrario. Con certe memorie, le più necessarie ma anche le più terribili, Ë facile cadere nell’esagerazione per buona volontà: “eccessi” di memoria che finiscono per svuotarsi di senso. Per questo ho pensato al monologo che qui è presentato. Non si tratta neppure di una lezione: se mai, il tentativo di far venire voglia di ascoltare lezioni su questi temi. Se lo si leggesse in una classe scolastica, forse potrebbe far venir voglia ai ragazzi di scoprire da dove vengono le storie che vi si raccontano, di verificare le informazioni che vi sono accennate, di valutare i pensieri che vi sono espressi.

Perché gli Ebrei? Qual è la loro storia? Come e quando furono emanate le leggi che permisero, pochi decenni fa, la loro esclusione dai diritti di cittadinanza e la loro persecuzione? E la memoria: cos’è esattamente, come funziona? E’ diversa dalla storia? In che senso? Cos’altro oggi è opportuno ricordare, perché la convivenza civile rimanga possibile?

Un tentativo, dunque. o un esercizio. Altri potrebbero farlo meglio, e spero lo facciano (c’è chi lo ha già fatto). Tale è il senso di questo monologo: un invito a che ciascuno di noi cerchi i modi più personali e quelli più efficaci per affrontare con se stesso, con altri e, se è insegnante, con i propri allievi i temi presso cui la giornata del 27 gennaio ci chiama a sostare. Paolo Jedlowski

La scelta di questo testo del maestro del verismo italiano, Giovanni Verga (1840-1922) é scaturita dalla necessità di portare in scena, denunciandolo, lo stato attuale dei minori sfruttati nelle miniere di tutto il mondo. Dati OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) statbiliscono che esistono circa un 216 milioni di bambini sfruttati. Circa un milione in questa condizione sociale, come Malpelo, costretto a lavorare sin dalla tenera età, in una cava di rena rossa. La messa in scena evidenzia il rappono tra Malpelo e sua sorella (Nunziatina), due fratelli che rimasti orfani di padre e con una madre sempre assente, vivono alla giomata nella speranza che la loro condizione possa un giorno cambiare.